martedì 17 gennaio 2017

Dietro le quinte di PHLOX


Il titolo sarebbe potuto essere “E alla fine arriva l’orso”. Più avanti capirete il perché.

Phlox, edito dalla Shockdom, è il mio secondo fumetto da sceneggiatore, per i disegni fantastici di Vanessa CardinaliÈ stato per me un banco di prova sotto molteplici motivi, alcuni volontari, altri inaspettati.
Innanzitutto la volontà di lavorare con la sopra citata Vanessa. Dovevamo trovare qualcosa che era nelle nostre corde e non finisse per omicidiarci vicendevolmente. Galeotto fu un viaggio in macchina. Tratta Pescara-Sulmona. Vanessa è solita addormentarsi già quando ho inserito la terza marcia in accelerazione. Quella sera non fu così. La stella di Phlox brillava alta in cielo. O forse faceva un rumore talmente fastidioso che Vanessa non riusciva a chiudere occhio. Tant’è, nella desolata A25, la mia Tauromobile aveva on air un cd con sigle di cartoni animati. Le sigle belle. Quelle che i giovani d’oggi… vabbè, che ne sanno. A un certo punto, cosa ti si va a diffondere nell’abitacolo? Starzinger! Ascoltatela, poi tornate a leggere.

Starzinger è un cartone di fine anni 70. La sigla è cantata dai Superobots. Nella sua semplicità, con quel pizzico di frivolezza, il testo riesce a trasmettere un pochino quel senso di disagio nostalgico e patinatura di tristezza tipica delle opere di Leiji Matsumoto.
La Vany, sveglia, attenta e conquistata dalla melodia, a un certo punto esclama: “Ti va di scrivere una storia d’amore tormentata ambientata nello spazio?”.
Solo che non era una domanda.
E doveva andarmi per forza.
Ma – oh! – va là le coincidenze: a me andava!
Era un’idea più che stuzzicante. Soprattutto perché nella mia testa ronzava l’esclamazione “Con la fantascienza puoi fare un po’ il cazzo che ti pare!”. Che di regola non è proprio così, ma leggendo Phlox capirete.